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Spaghetti alla puttanesca: un classico della cucina italiana, tanto che nella sesta edizione di Masterchef Italia una delle prove si basava proprio sull’esecuzione di questa salsa. Non solo, ma questo piatto è così popolare che ben due territori se ne contendono la paternità: la Campania e il Lazio.
Spaghetti alla puttanesca, curiosità
La stessa ricetta, con una sostanziale differenza, la troviamo, infatti, nella cucina napoletana e nella cucina romana e laziale in generale. Sveliamo subito che l’ingrediente che distingue la puttanesca romana da quella napoletana è l’uso delle acciughe sotto sale: a Roma si mettono, a Napoli no. E infatti nella città partenopea si chiamano anche “aulive e cchjapparielle” (olive e capperi).
Un altro punto che va chiarito è il tipo di pasta da adoperare: a Napoli sono d’obbligo gli spaghetti o le linguine sottili o anche i vermicelli, mentre a Roma si preparano le penne alla puttanesca, oltre agli spaghetti.
Spaghetti alla puttanesca, gli ingredienti
Per 4 persone
400 grammi di Spaghetti (oppure Vermicelli o Linguine)
500 grammi di pomodorini maturi oppure pelati
100 grammi di Olive nere di Gaeta
Una manciata di Capperi sotto sale
1 spicchio di Aglio
Peperoncino rosso
Prezzemolo
Olio extravergine di oliva
Sale
400 grammi di Spaghetti (oppure Penne o Mezze Penne)
400-500 grammi di Pomodori pelati
4 Acciughe sotto sale o Alici sott’olio
100 g di Olive nere
1 spicchio di Aglio
Peperoncino rosso
Una manciata di Capperi sotto sale
Prezzemolo
Pecorino romano (non obbligatorio)
Olio extravergine di oliva
Sale
Spaghetti alla puttanesca, la preparazione
Prima di cominciare, metti a dissalare i capperi in acqua fredda.
Trita finemente aglio e prezzemolo, poi taglia a fettine le olive e grossolanamente i capperi.
Cerca una padella capiente dove versare l’olio. Unisci il trito di aglio e prezzemolo, il peperoncino macinato o tritato finissimo e fai soffriggere delicatamente.
Versa i pomodorini, che devi spezzare con le mani (oppure i pelati che avrai tritato alla bell’e meglio), poi unisci anche un cucchiaino o poco più di concentrato di pomodoro, i capperi e le olive. Cuoci, mescolando, per 10, 15 minuti circa, e comunque fino a quando non sarà cotto il pomodoro.
Lessate al dente la pasta e col forchettone tirala su dall’acqua bollente e versala nel sugo. Tira bene pasta e salsa a fiamma vivace, spolverando con il prezzemolo fresco tritato.
Prima di cominciare, metti a dissalare i capperi in acqua fredda.
Versa l’olio in una casseruola piuttosto ampia, fallo scaldare e aggiungi l’aglio tritato finemente, quindi le acciughe e il peperoncino rosso macinato.
Fai sciogliere le acciughe e unisci subito dopo i pomodori pelati tritati grossolanamente. Alza la fiamma, mescola per un po’ e fai cuocere per circa 8-10 minuti.
E’ a questo punto che puoi aggiungere le olive tagliate a rondelle e i capperi dissalati. Mescola ancora delicatamente e fai cuocere a fuoco medio, senza coperchio, fino a quando il pomodoro non sarà cotto.
Spolvera di prezzemolo fresco appena tritato.
Gli spaghetti vanno scolati al dente e vanno fatti saltare con la salsa insieme a un po’ d’acqua di cottura.
Servi caldissimi e, se vuoi, aggiungi un po’ di pecorino romano appena grattugiato sul piatto di ogni commensale.
Spaghetti alla puttanesca, la storia
La storia o meglio le storie sull’origine degli spaghetti alla puttanesca sono molte e curiose. Il giornalista gastronomico americano Arthur Schwartz nel suo Naples at Table (Napoli a tavola), forse il primo libro di ricette napoletane in lingua inglese, pubblicato dall’editore newyorchese HarperCollins nel 1998, dopo una accurata ricerca sul campo, scrive che il termine ‘puttanesca’
“è stato oggetto degli sforzi di immaginazione di molti studiosi, che hanno tentato in ogni modo di trovare la soluzione all’enigma. Alcuni dicono che il nome di questa ricetta derivò, all’inizio del secolo, dal proprietario di una casa di appuntamenti nei Quartieri Spagnoli, che era solito rifocillare i propri ospiti con questo piatto, sfruttandone la rapidità e facilità di preparazione. Altri fanno riferimento agli indumenti intimi delle ragazze della casa che, per attirare e allettare l’occhio del cliente, indossavano probabilmente biancheria di ogni tipo, di colori vistosi e ricca di promettenti trasparenze. I tanti colori di questo abbigliamento si ritroverebbero nell’omonima salsa: il verde del prezzemolo, il rosso dei pomodori,il viola scuro delle olive, il grigio-verde dei capperi, la tinta granato dei peperoncini.”
Sempre Schwartz ci dà un’altra interpretazione sull’origine del nome della ricetta:
Altri sostengono che l’origine del nome sia da attribuire alla fantasia di una ragazza di vita Yvette la Francese , che si ispirò alle proprie origini provenzali. Yvette, probabilmente, non era dotata solo di fantasia, ma anche di senso dell’umorismo e di un’ironia alquanto caustica, che forse sfruttò per celebrare, attraverso il nome di questo piatto, la professione più antica del mondo.
Se apriamo la pagina di Wikipedia, leggeremo anche un’altra ipotesi. Ippolito Cavalcanti, cuoco e letterato nato nel 1787 e morto a Napoli nel 1859, nel suo trattato di “Cucina teorico-pratica”, pubblicato per la prima volta a Napoli nel 1837, riporta una ricetta simile, ma curiosamente inserisce il pesce azzurro: “Vermicelli all’oglio con olive capperi ed alici salse”.
Sempre Wikipedia, riferisce che nel 1931 “la guida gastronomica d’Italia edita dal T.C.I. la elenca tra le specialità gastronomiche della campania, definendola Maccheroni alla marinara”, ma si tratta della moderna ricetta della puttanesca.
E’ finita qui? Eh, no, perché nella ridda di ipotesi non poteva mancare quella di un personaggio mitico e anche un po’ misterioso della Napoli altoborghese: Jeanne Caròla Francesconi (Napoli, 1903-1995). Donna apprezzata e autrice della vera bibbia gastronomica partenopea, La Cucina napoletana, la cui prima edizione è datata 1965.
Questa donna straordinaria -e scrittrice di valore: il suo è più che un semplice ricettario è una sorta di diario-un romanzo della cucina napoletana- i cui pranzi restano nella memoria della buona borghesia partenopea e non solo, riparte dai già citati maccheroni alla marinara e scrive:
… Questi maccheroni, sebbene più ricchi dei loro parenti, si chiamavano alla marinara. Ma subito dopo la seconda guerra mondiale, a Ischia, il pittore Eduardo Colucci, non so come né perché, li ribattezzò con il nome con cui oggi è generalmente conosciuto.
Colucci, che viveva per gli amici, d’estate abitava a Punta Molino – in quel tempo uno degli angoli più pittoreschi di Ischia – in una rustica e minuscola costruzione; camera con cucinino e un terrazzo in mezzo al quale si innalzava un albero di ulivo. Oltre ai consueti più intimi amici, sfilavano sulla sua terrazza le più svariate personalità italiane e straniere. E lui, dopo aver offerto come aperitivo un fresco e genuino vinello d’Ischia, improvvisava spesso una cenetta a base di questi maccheroni che erano la sua specialità. …
Andiamo avanti. Nel 1971 un libro che ha fatto la storia dei ricettari popolari, Il Cucchiaio d’Argento, riporta la ricetta degli Spaghetti alla Puttanesca. Wikipedia e altri siti riferiscono che nell’edizione de Il Golfo, quotidiano di Ischia e Procida, del 17 febbraio 2005, la giornalista Annarita Cuomo interviene sull’origine del sugo alla puttanesca. Non ho trovato online la pagina del quotidiano, ma secondo la Cuomo il sugo sarebbe stato inventato nel 1950 dall’architetto ischitano Sandro Petti, uno dei proprietari di “Rancio fellone”, famoso ristorante dell’isola.
A tarda serata arrivarono alcuni clienti, chiedendo a Petti qualcosa da mangiare. Era tardi e la dispesa del ristorante si trovava sguarnita per preparare una cena decente, ma i clienti, c’erano anche amici del Petto, gli chiesero di preparare “una puttanata qualsiasi”, nel senso d’una cosa così, con quel che c’era. E Petti preparò una pasta con gli ingredienti classici del Mediterraneo: pomodori, olive, capperi, prezzemolo, olio. Non solo il piatto piacque, ma a quel punto pare che Petti lo introdusse nel menu del ristorante proprio col nome di Puttanesca.
La storia di Sandro Petti sugli spaghetti alla puttanesca, viene riportata più o meno allo stesso modo da Anna Maria Chiariello, giornalista napoletana, nel suo libro del 2008 “Lucio Battisti – Emozioni Ischitane”.
Scrive la Chiarello, riportando la testimonianza e le parole di Petti:
“Una sera intorno alle quattro del mattino, eravamo al Rangio e c’erano degli amici veramente affamati – racconta Petti – avevo finito tutto così li avvisai. “Mi dispiace, dissi loro, non ho più nulla in cucina, non posso prepararvi niente”. Ma quelli insistettero dicendo “Dai Sandro, è tardi ed abbiamo fame, dove vuoi che andiamo, facci una puttanata qualsiasi”. Così l’architetto che aveva anche la passione per la cucina oltre che quella per le arti, dopo un po’ portò una fumante zuppiera di pasta alla … puttanata. E cioè spaghetti, aglio, olio, pummarolelle, olive, capperi, pieni di prezzemolo. Un successo. La zuppiera tornò pulita in cucina. “Ancora la conservo, la tengo nella mia villa romana, dice Petti, è talmente grande che con cinque chili di spaghetti si copre il fondo”. La ricetta finì nel menù, “la chiamai puttanesca, non era carino puttanata” ma gli valse una bella reprimenda dal vescovo Ernesto De Laurentis a causa di quel termine un po’ volgare. (…) “fui io e non mio zio a preparare per la prima volta quel sugo che chiamai poi alla puttanesca”.
Nella saporita e decisa ricetta degli spaghetti alla puttanesca, c’è dentro perfino Totò. Sembra non solo che Totò fosse ghiotto della pasta condita in questa maniera e che fosse anche bravo a cucinarla, ma c’è chi sostiene che sia stato proprio lui a inventarne il nome.
La storia è simile a quella di Petti. Il principe della risata Antonio de Curtis, capitò a cena al ristorante Luigi ai Faraglioni, a Capri. Il nostro Totò scoprì che non c’era più pesce fresco perché, a causa di una forte mareggiata, le barche da pesca non erano uscite.
Per condire il piatto di vermicelli, entrò lui stesso in cucina e creò la salsa che definì “alla puttanesca”, per intendere l’unione quasi casuale di diversi ingredienti, così come sono diverse e casuali le persone con cui si unisce una donna di facili costumi.
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