cavolfiore fanese

Una storia e una ricetta: il Cavolfiore alla fanese

Un vecchio detto fanese recita, ironizzando sulla stessa città: “Fano grande e potente, cavoli a nord, sud e ponente“. In effetti la vista dei campi coltivati a cavolfiore era, ed è ancora, assolutamente familiare ai fanesi e i non più giovanissimi possono ricordare gli ‘orti dei pescatori’, proprio sotto le mura cittadine, dove i cavoli non mancavano mai.

Da Metaurilia a Bellocchi e Falcineto, e negli orti intorni alla città, la coltura del cavolfiore ha rappresentato non solo un elemento importante per l’economia cittadina, ma anche un ingrediente che ha dato la sua impronta alla storia gastronomica del territorio.
Nel dizionario della cucina marchigiana “Marchigianando”, scritto da Ugo Bellesi e Tommaso Lucchetti, si legge che il cavolo “nel mondo latino era l’ortaggio per antonomasia, esaltato dai più celebri trattatisti di agronomia, Catone in testa, come emblema della virtù contadina, concentrato di virtù benefiche per l’organismo ed alimento sovrano per sfamare le famiglie nella parca mensa di tutti i giorni”.
Nella tradizione agricola marchigiana, il cavolfiore è stato ed è un protagonista riconosciuto, con la qualità di Jesi, ma è ben diffusa e apprezzata anche la varietà di Fano. Trovo nelle pagine dedicate alla cucina del Corriere della Sera un articolo con alcune imprecisioni:

Le Marche sono considerate una regione ideale per la coltivazione dei cavolfiori, con notevoli differenze tra le varietà ottenute nei diversi ambiti di coltivazione. Il Cavolfiore di Fano è frutto di una sperimentazione compiuta dai ricercatori dell’università di Bologna, poi proseguita nell’ateneo anconetano, al fine di ottenere una pianta dotata di caratteristiche differenti rispetto alla preesistente varietà di Jesi. Rispetto a quest’ultima si presenta di maggiore dimensione, con colore bianco più intenso e con gusto più sapido. Il Cavolfiore di Fano viene piantato a tarda estate (agosto-settembre) e raccolto tra gennaio e febbraio; il peso alla commercializzazione è di circa 3 chilogrammi. Ha colore bianco candido ed è caratterizzato da cimette ben sviluppate e sode. Pur essendo considerato un cibo “povero”, il cavolfiore viene particolarmente apprezzato nella cucina naturale per le sue proprietà benefiche.

In realtà, il cavolfiore fanese tardivo ha una storia di secoli e lo si può perfino ammirare in alcune nature morte della fine del 1700 del pittore fanese Carlo Magini, come testimonia l’immagine tratta dal sito della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano.
Inoltre, la raccolta è intorno a marzo-aprile, quindi tra fine inverno e inizio primavera (altrimenti che ‘tardivo’ sarebbe?).
Giorgio Tonelli, nell’originale e interessante volume “Fano Attraverso Le Inserzioni Pubblicitarie“, edito da Banca Suasa nel 2010, ha raccontato, con la passione del fanese e la precisione dell’economista, l’importanza del cavolfiore per il territorio:
La coltivazione del cavolfiore era diffusa già in tutto l’800, come ricorda il Prefetto Scelsi nelle sue cronache statistiche del 1881 e attraverso incroci e selezioni, a Fano, si era costituita una particolare varietà di cavolfiori,quella del “tardivo” che, a differenza delle altre varietà immesse sul mercato a novembre-gennaio, si poteva raccogliere a marzo-aprile con il vantaggio di non avere concorrenti per tale periodo. (…)
Una sempre più considerevole parte della produzione veniva destinata ai mercati esteri, perché “il cavolo di Fano è varietà abbastanza omogenea e corretta, bene apprezzata sul mercato estero, di forma regolare e di modesta taglia”. La parte del leone, nell’esportazione di questo ortaggio, vede protagonista la famiglia Rupoli (…) Originaria di Orciano, assunse nel tempo il cognome attuale dal toponimo della frazione di provenienza, Rupoli di Orciano, ma di nascita il nome era Di Luca.
Nel secolo scorso, Giovanni Rupoli (1847-1932) dopo un’iniziale vita avventurosa: fuggito di casa a 13 anni, si era arruolato anche nei Corpi Garibaldini, si era sposato a Fano con Anna Lodovichetti ed aveva aperto un’agenzia di “città” che si occupava di consegne presso la Stazione ferroviaria avvalendosi di un somaro, di stazza alquanto grossa, detto “piron”.
(…) Al commercio della frutta di ogni tipo ben presto affiancarono quella dei cavolfiori; questi all’inizio venivano trasportati via mare tramite il trabaccolo, la caratteristica barca fanese da trasporto, in direzione Pola che allora faceva parte dell’impero Austro-Ungarico. Non sempre questo trasporto avveniva in modo agevole: una volta nel corso di una tempesta, Attilio, che essendo il più piccolo dell’equipaggio avvertiva un certo timore, venne deriso dal comandante, un certo Cardinali detto “vulòn”, allora, “per farsi rispettare”, Attilio rifilò “dò bucaton”al comandante che smise di prenderlo in giro.
Chi voglia sbizzarrirsi con piatti a base di cavolfiore, troverà numerose proposte e varianti nel Valentino Valentini, massima autorità della cucina locale, nel  suo “Libro del Cavolo- 134 ricette di cavolfiore e verza”, curato insieme a Massimo Foghetti e Maurizio Misuriello, edito nel 1985 per i tipi di Radio Esmeralda,
Qui riporto la ricetta del cavolfiore alla fanese così come l’ho imparata da

Cavolfiore alla fanese, gli ingredienti

Per 4 persone

1 cavolfiore da circa 1 kg.

4 o 5 filetti d’acciughe sott’olio o sotto sale

una decina di olive nere

1 cucchiaio di capperi sotto sale

Sale
Pepe nero macinato

olio extra vergine d’oliva

Cavolfiore alla fanese, la preparazione

Prima di tutto sciacquo e metto bagno i capperi per dissalarli. Poi lavo con molta cura  il cavolfiore, eliminando la parte dura del gambo e le foglie esterne.
Lo immergo in una pentola, coprendolo d’acqua, verso una presa di sale, copro e porto a ebollizione. Faccio bollire per circa 20 minuti.
Lo scolo al dente, croccante, e lo lascio raffreddare.
Nel frattempo sciacquo le alici, eliminando ogni residuo di sale. Le spezzetto e unisco le olive tagliate a fettine e i capperi.
Verso sul cavolfiore, aggiungo l’olio, nulla o un minimo di sale (capperi e alici sono salati da sé), una macinata di pepe nero e servo in tavola, accompagnando il piatto con un vino Bianchello del Metauro.
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