Sono sempre attratto dai libri di ricette delle città e dei paesi che visito, anche quelli scritti in dialetto o in lingue che non conosco: mi affascina il solo fatto di sfogliarli, di sapere che in quelle pagine ci sono storie vecchie di secoli. Alcuni anni fa, curai, per conto della Provincia di Pesaro e Urbino, una ‘riduzione’ in quattro lingue, ad uso dei turisti, di quel testo fondamentale per la ricerca gastronomica del territorio che è “Tutti a Tavola. Le ricette della provincia pesarese” (la cui prima edizione uscì per Edizioni Promoter ), scritto da Valentino Valentini, un personaggio che in tutta la sua vita ha saputo unire l’impegno per la politica con la passione per la cucina. In quel delizioso testo, trovai la ricetta della crescia di Pasqua (in dialetto pesarese “crescia brusca”).
Non ha nulla a che vedere con altre cresce: non è la piadina romagnola né la crescia sfogliata del Montefeltro o la Ciaccia, di origine umbra diffusa anche ad Apecchio, comune della provincia di Pesaro Urbino.
E’ una tradizione lontana, legata alla dimensione familiare della festività, alla casa più che al fuori casa, alla tavola della famiglia e dei convivi coi parenti più che al ristorante o alla trattoria. Ogni famiglia ha la ‘sua’ ricetta di crescia, e mia mamma, per esempio, o le mie zie, si scambiano a volte piccoli segreti, accorgimenti, trucchi, per farla cuocere bene, per non farla ‘abbassare’ in forno.
Il mio ricordo della crescia è il ricordo della mia infanzia, delle vacanze domestiche a Mercatello sul Metauro, delle colazioni di Pasqua che ‘la Ines’ preparava e imbandiva per suo marito Antonio, la figlia Anna Maria, i nipoti Mariolina e Glauco, e noi, gli amici di Fano.
La colazione di Pasqua non è una cosa semplicissima da descrivere, perché, dopo il digiuno del Venerdì Santo, la domenica di resurrezione era anche resurrezione del gusto e in tavola trovavamo -uno spettacolo per noi bambini- salume, formaggio, uova sode, frittata, ‘squaglio’ di cioccolato, e per gli adulti anche coratelle d’agnello e vino rosso. E su tutto trionfava, maestoso panettone salato, la Crescia di Pasqua, il cui profumo intenso e indimenticabile riempiva la casa e accompagnava il nostro risveglio.
Ieri pomeriggio ero a Pesaro e, con mio figlio, ho scovato una piccola barbieria vicino alla Chiesa del Porto; non uno di quei moderni centri estetici tuttofare, ma una barbieria vera, con l’arredo un po’ datato, le riviste maschili per gli adulti e i fumetti per i più piccoli, un solo barbiere che stava acconciando un signore di mezza età, due amici del cliente e del barbiere che erano lì solo per fare due chiacchiere. Uno degli argomenti di conversazione, in dialetto pesarese (e speriamo che i dialetti resistano a globalizzazione e immigrazione!), era proprio la crescia di Pasqua: e quante ne hai cotte, e quante ne hai regalate, e come sono venute, e ci metti o no i tocchetti di formaggio… Perché ancora oggi molte famiglie rispettano la tradizione, preparano la crescia in casa (non una, ma tante, perché poi la si regala ai figli, e ai nipoti, al parente ecc) e la consumano durante la colazione pasquale accompagnata dalle uova benedette.
La ricetta. Come scrivevo, le ‘varianti’ della Crescia di Pasqua sono tante (si possono o no aggiungere i dadini di formaggio pecorino, si può usare il burro in luogo dello strutto, si può mettere più o meno lievito di birra), ma la preparazione di base è identica. Questa è la ricetta che prepara -più o meno!- mia mamma Graziana.
Ingredienti per la crescia di Pasqua
1 chilogrammo di farina
12 uova
150 grammi di strutto oppure un bicchiere di olio extravergine d’oliva
150 grammi di parmigiano grattugiato
150 grammi di formaggio pecorino grattugiato
300 grammi di lievito di birra, sciolto precedentemente in un po’ di latte tiepido insieme a un cucchiaino di zucchero per aiutare la lievitazione
sale
un bel pizzico di pepe nero macinato.
Preparazione
Si impastano tutti gli ingredienti sopra citati, aggiungendo a piacere dei dadini di formaggio pecorino. Si mette il composto in un recipiente a forma cilindrica per dargli una forma simile a quella del panettone e si pennella con un tuorlo battuto. Si fa lievitare per circa tre ore in un luogo caldo e asciutto e successivamente si introduce nel forno a 200°. Dopo circa un quarto d’ora, a 180. La cottura si completa in circa un’ora.
Feste
Sono finito ad abitare in un minuscolo borgo chiamato Montegiano, frazione del comune fortificato di Mombaroccio, tra le valli del Metauro e del Foglia. E qui, a Montegiano, l’unica festa che si organizza, a parte quelle religiose, è proprio la “Festa d’la Crescia sa i Cucon”, cioè la Festa della Crescia con le uove sode, che si svolge ogni anno subito dopo Pasqua, promossa dal Comitato Giovani di Montegiano.
sCUSAMI..SEI SICURO CHE OCCORRONO 300G. DI LIEVITO? Non è un errore di scrittura e volevi dire 30?. Grazie.
La ricetta della mia famiglia,di Pesaro,porta 7 cubetti di lievito..essendo antica come ricetta,forse il lievito era un composto diverso
Infatti anche io sono rimasta un po’ perplessa 300gr mi sembra esagerato !